Omicidio in officina a Verbicaro, anche un rapporto conflittuale fra Biagio Lofrano e lo zio
Un rapporto conflittuale di Biagio Lofrano verso lo zio Ugo è quanto emerge dal racconto del meccanico presunto autore dell'omicidio avvenuto in officina a Verbicaro
Verbicaro, 24 novembre 2024 – Non ha partecipato ai funerali di “Ughiciedd”, Ugo Lofrano il meccanico ucciso in officina mercoledì a Verbicaro, il nipote Biagio Lofrano che come è noto si trova rinchiuso nel carcere di Paola dopo la convalida dell'arresto da parte del Gip; l'omicidio sarebbe nato da un litigio l'ennesimo fra i due; il nipote viveva in un rapporto conflittuale, secondo quanto emerge dalle dichiarazioni. Ora si ritrova nella sua cella probabilmente a riflettere su uno screzio, un litigio, finito in maniera violenta.
Un lavoro iniziato a 10 anni
“Lavoro, da quando avevo l’età di 10 anni, in qualità di meccanico, presso l’officina di mio zio, Ugo Lofrano”, ha confermato il 41enne. Un rapporto stretto con lo zio: “Durante la pausa pranzo, andavamo a mangiare a casa di mia madre e spesso veniva anche mio zio”. Ma talvolta fra Biagio Lofrano ed “Ughiciedd” qualche discussione nasceva. Era probabilmente un modo per cercare di insegnare il lavoro di meccanico mantenendo forse un po' di rigidità, quello dei maestri di una volta.
«Mi sgridava spesso»
“Sul luogo di lavoro mi sgridava spesso, si lamentava del mio modo di lavorare. Quando mio zio si arrabbiava, mi arrabbiavo anche io. Ogni tanto è capitato che mi tirava qualche schiaffo. Io non ho mai reagito”. Eppure, nel pomeriggio di mercoledì, qualcosa è scattato, forse l'ennesima sgridata ha generato una reazione di impulso, Biagio Lofrano ha imbracciato un tubo di ferro, i più esperti sostengono che si tratti di un semiasse, e lo ha sferrato sul capo di Ugo Lofrano fino a farlo tramortire per terra.
Cosa è successo in officina
Il racconto del pomeriggio di mercoledì scorso: “Dopo aver finito il lavoro su una macchina ero molto stanco e volevo andare via, considerata anche l’ora tarda. Mio zio mi diceva che dovevamo riparare altre autovetture. Dopo l'ennesima sgridata non ci ho visto più e, in quella circostanza, ho preso un palo che era in officina e l'ho colpito 2, 3 volte, non ricordo con esattezza quanti colpi ho inferto, all'altezza del capo. Mio zio mi trattava come un cane”. Dopo aver visto lo zio cadere per terra e aver compreso che non era più cosciente il 41enne è uscito dalla saracinesca, che era aperta a metà, e l'ha chiusa. Il rientro a casa a piedi. Circa mezz 'ora. Il drammatico racconto ai suoi genitori. Poi, il ritorno in officina insieme al padre, con i pantaloni ancora intrisi di sangue. “Solo in seguito è giunta mia sorella, la dottoressa e poi i carabinieri”.
«Lo zio non ha provato a difendersi»
Un ulteriore frame di quel tragico pomeriggio: “Quando ho colpito mio zio, lo stesso non ha provato a difendersi. All’interno dell’officina ero solo con mio zio. Alcuni clienti avevano già ritirato le macchine che abbiamo riparato prima che io colpissi mìo zio. Dopo aver colpito mio zio, ho lanciato il tubo in una zona dell’offìcina, in mezzo ad altri attrezzi di lavoro. Oggi (mercoledì) ho pranzato insieme a mio zio e la situazione era tranquilla. A lavoro la situazione è degenerata”. Nel corso dell’interrogatorio, in sede di convalida Biagio Lofrano, però si è avvalso della facoltà di non rispondere.
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