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Smeco: la Cassazione rinvia gli atti: verso la causa civile e la richiesta risarcimenti

Il processo che si è concluso con le assoluzioni dal punto d vista penale ha una coda civile. I comuni si apprestano a richiedere risarcimenti milionari



SANTA MARIA DEL CEDRO – 1 ott. 22 - Il processo su questioni ambientali relativo alla società Smeco, torna in aula. Lo ha stabilito la Suprema corte di Cassazione che ha accolto la tesi dell'avvocato penalista Lucio Conte. Lo scorso 27 settembre, come richiesto dal difensore dei 4 comuni ricorrenti, l'avvocato Lucio Conte, la Cassazione ha disposto l’annullamento della sentenza impugnata limitatamente agli effetti civili, con rinvio per nuovo giudizio al giudice civile competente per valore in grado di appello. Cui ha rimesso anche la liquidazione delle spese di questo grado di giudizio. La Suprema Corte, ha ritenuto l’attribuibilità dei fatti illeciti tutti contestati agli imputati e ai responsabili civili con l’apporto causale di ciascun imputato, nonché in merito allo specifico contributo alla verificazione del disastro. I comuni, con l'avvocato Lucio Conte, si preparano ad una nuova vicenda giudiziaria che potrebbe portare al risarcimento per milioni di euro. Nel processo sono presenti anche i responsabili civili: Smeco Cosenza; Smeco Lazio; Giseco Cosenza; Hidrobrutium; Arbela che saranno chiamate a risarcire tutti i danni sofferti dalle costituite parti civili. Le vicende processuali traggono origine da fatti del 2008, quando diversi comuni del Tirreno cosentino registrano malfunzionamenti dei depuratori, con la conseguenza di evidenti sversamenti in mare. La società, che all'epoca gestiva quasi tutti gli impianti, era la Smeco.



Il 18 settembre 2018, con sentenza del tribunale di Paola, gli imputati Domenico Albanese, Gessica Lilia Plastina, Raffaele Romeo, Rosaria Rita Mazzacuva, sono stati assolti “perché il fatto non sussiste”. Venivano contestati vari reati: inadempimento e frode nelle pubbliche forniture e disastro ambientale, reati ormai caduti in prescrizione ad eccezione del disastro ambientale. La Corte di Appello di Catanzaro con sentenza del 14 dicembre 2020 ha confermato la sentenza del Tribunale di Paola. Nel processo si erano costituiti 13 comuni del Tirreno cosentino e circa 100 parti civili tra privati e associazioni ambientaliste. Solo ed esclusivamente i comuni di Santa Maria del Cedro, Tortora, Santa Domenica Talao e Verbicaro hanno proposto ricorso per Cassazione chiedendo l’annullamento della sentenza, assistiti dal difensore di fiducia il noto penalista avvocato Lucio Conte.


L'avvocato Lucio Conte

Dal processo è emerso, secondo le 4 parti civili ricorrenti in Cassazione, che numerosi comuni, nel 2007, dopo che gli impianti erano stati gestiti dalla Smeco nell'ambito territoriale, avevano deciso di affidare direttamente la gestione degli impianti di depurazione alla Smeco. In ogni caso, secondo il difensore dei comuni, “la società avrebbe consapevolmente assunto l’impegno di gestione di impianti di depurazione che non erano strutturalmente in grado di funzionare oppure avrebbe consapevolmente mal gestito un impianto di depurazione perfettamente idoneo alla funzione. Delle due, l'una”.

Il difensore, avvocato Lucio Conte si è dichiarato soddisfatto enormemente della decisione della Suprema Corte di Cassazione ed ha ricordato con un po’ di commozione l’avvocato Ernesto D’Ippolito di Cosenza, primo difensore del Comune di Verbicaro, deceduto nel corso della fase di appello, ha ricordato anche che con lui aveva speso tante energie per l’affermazione della verità.


L'avvocato Ernesto D'Ippolito

LA TESI DEI COMUNI

La tesi dei comuni ricorrenti è che per motivi economici si limitava o azzerava il ciclo di depurazione di imponenti quantità di liquami. Tale situazione comporta logicamente enorme riduzione o azzeramento dei costi di gestione dell’impianto ed un maggiore guadagno dell’azienda. I comuni ricorrenti in Cassazione hanno fatto rilevare che: la Smeco, imprenditore professionale nel settore della depurazione, ha preso in gestione degli impianti non idonei a depurare acque reflue urbane, impianti, peraltro dalla stessa società, conosciuti per averli gestiti nella fase commissariale per anni. Al momento della consegna dell’impianto e quindi all'inizio della gestione, fanno rilevare i comuni ricorrenti, se ci fossero state carenze strutturali, la depurazione non sarebbe potuta avvenire e quindi la società sarebbe stata pienamente consapevole che avrebbe sversato nel corpo recettore tonnellate di reflui non depurati con violazione di norme penali e in materia ambientale. Inoltre l'avvocato Lucio Conte ha fatto rilevare che la società avrebbe stipulato contratti di gestione, con la piena consapevolezza che l’impianto fosse obsoleto e sottodimensionato e non poteva depurare, e ciò per ben 5 anni. Seppur consapevole della impossibilità di adempiere alle obbligazioni contrattuali e di non poter garantire il servizio di depurazione, perché l’impianto presentava gravi carenze strutturali, avrebbe stipulato ugualmente il contratto non sollevando alcun rilievo, e ciò sempre per anni, sebbene da numerosi contratti stipulati con i Comuni emerge che in essi viene dichiarato che: “La Smeco avendo lungamente operato sugli impianti in questione ed avendone perfetta conoscenza è in grado di svolgere il servizio assicurando la continuità dello stesso”. Si ipotizza, quindi, lo sversamento “consapevole e volontario” in mare di migliaia e migliaia di tonnellate di reflui non depurati e fanghi, sostanze nocive per la salute e l’ecosistema, in misura imponente, tenuto presente il numero di impianti di depurazione gestiti all'epoca dei fatti.




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