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Tentata rapina in villa a Bologna. La Cassazione conferma le accuse per 3 calabresi

I tre, di Corigliano Rossano, avevano proposto ricorso in Cassazione. La Suprema corte lo ha respinto



CORIGLIANO ROSSANO – 15 dic. 22 - Dopo quasi dieci anni la Corte di Cassazione chiude definitivamente una vicenda accaduta a diversi chilometri di distanza da Corigliano Rossano, ma che ha visti coinvolti tre cittadini del posto. La corte di Cassazione, presidente Giovanna Verga, relatore, Piero D'Agostini Messini ha dichiarato inammissibili i ricorsi dei tre imputati e ha condannato i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di tremila euro in favore della cassa delle ammende. I ricorsi proposti da: Mario Savoia, 55 anni, Domenico Zampino, 54 anni, e Antonio Zampino, 31 anni si riferiscono alla sentenza del 26 gennaio 2021 della Corte d'Appello di Bologna

I fatti si riferiscono ad una tentata rapina avvenuta a fine luglio 2013. Il 26 gennaio del 2021 i giudici della la Corte d’Appello di Bologna li avevano ritenuti colpevoli, condannandoli a 3 anni, per una tentata rapina pluriaggravata all’interno di una villetta, in zona Casaglia a Bologna.

Tutti i ricorrenti si dolgono della qualificazione giuridica del fatto, del mancato riconoscimento delle attenuanti generiche e della quantificazione della pena.



Ma secondo la Cassazione, la ricostruzione del fatto è pacifica, alla luce delle dichiarazioni delle persone offese e della confessioni rese da Mario Savoia e da altri imputati. A seguito di vari appostamenti e dell'acquisizione di varie informazioni, i tre ricorrenti e altri complici decisero di eseguire un furto nella villa isolata di un'anziana signora, sapendo che nella casa vi erano preziosi; Mario Savoia fu il soggetto incaricato di introdursi per primo nell'abitazione e ciò fece arrampicandosi su una grondaia ed entrando da una finestra della camera da letto posta al primo piano; nella camera, però, dormivano P.F.e il compagno G.M., la cui presenza nella villa era ignorata dai malviventi; a quel punto Savoia si diresse verso la donna "saltandole addosso sul letto, impedendole di muoversi ed anche tappandole con una mano la bocca per impedire di (continuare) ad urlare"; il compagno della donna, tuttavia, era intervenuto e a quel punto Savoia era fuggito all'interno della casa uscendo poi dalla finestra di un'altra camera da letto.



Negli atti di appello le difese avevano sostenuto la insussistenza del reato di tentata rapina impropria, sulla base della ricostruzione del fatto e dello stesso capo d'imputazione, ribadendo nei ricorsi la tesi della insussistenza degli elementi costitutivi di detto reato. Secondo la Cassazione, la tesi difensiva è priva di ogni fondamento, come ha osservato la Corte territoriale. La difesa ha sostenuto che l'azione in danno di della anziana donna P.F. fu "finalizzata esclusivamente a guadagnarsi l'impunità attraverso una precipitosa ed immediata fuga" e proprio questa ricostruzione, secondo la Cassazione, consente di riconoscere la correttezza della qualificazione giuridica del fatto, contestata negli atti d'impugnazione, come tentativo di rapina impropria. La Corte di appello, poi, ha ampiamente motivato in ordine alla limitata portata della confessione resa dagli imputati, con motivazione incensurabile, e ha solo incidentalmente dato atto del fatto che gli imputati non hanno richiesto riti alternativi, senza porre questa circostanza a fondamento del diniego delle attenuanti.



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